IL COMMISSARIO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa demaniale iscritta
 al  n.  76  del  registro  generale  contezioso civile dell'anno 1992
 vertente  tra  il  comune  di  L'Aquila   in   persona   del   legale
 rappresentante  in  carica  rappresentato  e  difeso dall'avv. Egidio
 D'Angelo e dal dott. proc. Paola Giuliani dell'avvocatura civica come
 da mandato a margine della copia notificata dell'atto introduttivo di
 lite  e  Elodia  S.n.c.  in  persona  dell'amministratore  e   legale
 rappresentante  Antonello  Moscardi  con sede in Camarda di L'Aquila,
 strada statale 17- bis del Gran Sasso, elettivamente  domiciliato  in
 L'Aquila,  corso  Federico  II  n.  3 presso e nello studio dell'avv.
 Fabrizio Marinelli e della dott. proc. Maria  Cristina  Cervale,  dai
 quali  e'  rappresentato  e  difeso  come  da mandato a margine della
 comparsa di costituzione.
    Oggetto:  occupazione  abusiva  di  terreni  di  presunta   natura
 demaniale da uso civico.
    Conclusioni delle parti: l'avv. D'Angelo per il comune chiede che,
 previa  nomina  di un C.T.U. che accerti la situazione generale dello
 stato dei luoghi, il commissario voglia  disporre  la  reintegra  del
 fondo di cui al foglio 70, partt. 544, al demanio di uso civico.
    L'avv.  Marinelli chiede pronunciarsi il difetto di giurisdizione,
 in conformita' alla sentenza della  Corte  di  cassazione  a  sezioni
 unite  n.  859/1994,  non  essendo  stata l'azione proposta dall'ente
 regione Abruzzo.
                       Svolgimento del processo
    Con ricorso pervenuto il 20 luglio 1992 ed assunto  al  protocollo
 con  il  n.  1062/g  i consiglieri della circoscrizione di Camarda di
 L'Aquila Giacinto Alfonsi e Silvano Pulsoni,  nel  far  presente  che
 Elodia  Di Giacobbe aveva recintato i fondi censiti nel nuovo catasto
 rustico di quella frazione con il foglio 70  partt.  545  e  546,  di
 presunta  natura  demaniale  civica,  per  adibirli  a pertinenze del
 costruendo  complesso  ricettivo  alberghiero,  chiedevano  a  questo
 commissario di accertare l'effettiva natura di tali beni ed all'esito
 di adottare i consueti provvedimenti.
    Dagli   atti   demaniali   custoditi   nella   conservatoria   del
 commissariato, liberamente consultabili da chiunque ne  avesse  avuto
 interesse  e,  quindi,  anche dalla Di Giacobbe, in particolare dalla
 relazione  storico-giuridica  sui  beni  collettivi  della   suddetta
 frazione redatta dall'avv. Anacleto Marinelli nel 1933 e dal progetto
 di  verifica  e sistemazione dei demani della stessa frazione redatto
 dal dott. ing. Gaetano Lorito nel 1937 emergeva che entrambi i  fondi
 erano  stati  classificati  di  natura  demaniale  civica,  in libero
 possesso della collettivita' dei naturali del luogo, proprietaria dei
 beni medesimi e titolare dei diritti di usi civici.
    Tanto premesso,  poiche'  non  risultava  concessa  autorizzazione
 alcuna  ai sensi dell'art. 12 della legge 16 giugno 1927, n. 1766; 39
 e 41 regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26  febbraio  1928,
 n.  332 e 6 della legge regione Abruzzo n. 25/1988, di talche' Elodia
 Di Giacobbe doveva essere considerata un'abusiva occupatrice dei  due
 predii  ed  il  suo  comportamento denota una contestazione implicita
 della rilevata qualitas soli, il giudicante ordinava in via cautelare
 e d'urgenza alla Di Giacobbe di sospendere immediatamente,  ai  sensi
 dell'art.  74  reg. anzidetto ogni e qualsiasi lavoro ed attivita' su
 tali fondi al fine di preservare lo  stato  dei  luoghi  in  funzione
 della  loro  destinazione civica che sarebbe rimasta irreparabilmente
 danneggiata dalla loro prosecuzione e, visti gli artt. 29,  30  e  31
 della legge citata, ordinava la comparizione innanzi a se' del comune
 di L'Aquila in persona del sindaco in carica, dei ricorrenti Giacinto
 Alfonsi  e  Silvano  Pulsoni  e  di Elodia Di Giacobbe, ad oggetto di
 sentir dichiarare la natura demaniale civica universale dei due fondi
 come sopra descritti; con tutte le conseguenti statuizioni in caso di
 accertata loro natura demaniale civica.
    All'udienza   prefissata   le   parti   regolarmente    costituite
 sviluppavano  i  loro  assunti difensivi: il procuratore di Elodia Di
 Giacobbe, nel  rilevare  preliminarmente  come  alla  suddetta  fosse
 succeduta  la  Elodia  S.n.c. in persona dell'amministratore e legale
 rappresentante Antonello Moscardi, con sede in Camarda  di  L'Aquila,
 deduceva  di non aver mai occupato il fondo distinto con la part. 545
 del foglio 70 e che l'altro distinto con la part.  546  dello  stesso
 foglio  70  gli  era  stato  concesso  in uso perche' fosse adibito a
 parcheggio, dal Comune di L'Aquila, con deliberazione n.  171  del  4
 ottobre  1991;  aggiungeva  di  aver, comunque, rimosso la recinzione
 apposta  su  tale  fondo  e  si  riservava  di  concludere  all'esito
 dell'istruttoria.
    Il  procuratore  del  comune,  invece,  nel confermare la avvenuta
 rimozione della recinzione in seguito  alla  ordinanza  sindacale  di
 demolizione e la non occupazione del predio di cui alla part. 545 del
 foglio  70, chiedeva che fosse accertata la situazione generale dello
 stato dei luoghi, particolarmente in ordine al fondo distinto con  la
 part.  544  del  foglio 70 che Elodia Di Giacobbe aveva acquistato da
 terzi  e  ceduto  al  comune  con  atto  d'obbligo,  quale  oneri  di
 urbanizzazione.
    Siffatto terreno era stato classificato di natura demaniale civica
 dal  perito dott. ing. Lorito nell'anzidetto suo progetto, per cui lo
 stesso procuratore insisteva  perche'  ne  fosse  accertata  con  una
 consulenza  tecnica,  la  natura  ed  all'esito  ne fosse disposta la
 reintegra allo  stesso  ente  territoriale,  salve  le  altre  azioni
 spettanti al medesimo per la tutela dei diritti urbanistici violati.
    Il  commissario, ritenutane la necessita', ai fini di una migliore
 e piu' completa istruzione della causa, disponeva consulenza  tecnica
 per  accertare  la  qualitas  soli  non  solo dei terreni oggetto del
 ricorso e della richiesta del comune, ma anche di tutti quelli  nella
 disponibilita' della societa' Elodia.
    Depositata  la  relazione  peritale,  con la quale il C.T.U. geom.
 Antonio Molinari ha concluso che i fondi di cui alle partt. 544,  545
 e  546 del foglio 70 sono da considerare tutti di natura demaniale di
 uso civico in esito alle indagini di  natura  storico-documentale  da
 lui  espletate  e,  quindi, anche il fondo censito con la partt. 544,
 ceduta da Elodia al comune di L'Aquila in pagamento  degli  oneri  di
 urbanizzazione,  di  talche'  il comune avrebbe ricevuto un fondo che
 appartenendo al suo demanio civico e' res extra commercio e non  puo'
 quindi  formare oggetto di atti di disposizione se non nei modi della
 legge n. 1766/1927, la causa e' stata riservata per la sentenza.
                        Motivi della decisione
    Il procuratore della  convenuta  societa'  ha  eccepito  in  linea
 preliminare  ed  assorbente  il  difetto di giurisidizione dell'adito
 commissario giacche' nel caso di specie contrariamente alla  sentenza
 interpretativa  della Corte di cassazione n. 859/1994 l'azione non e'
 stata proposta dall'ente regione Abruzzo,  ma  da  consiglieri  della
 circoscrizione, che non sarebbero legittimati ad agire.
    Com'e'  noto  la  Corte  suprema  con  diverse pronucie emesse nel
 corrente   anno,   rinnegando   la   propria    quasi    bicentenaria
 giurisprudenza  che  riconosceva il potere dei commissari per gli usi
 civici di procedere anche  d'ufficio  nelle  controversie  rientranti
 nella   loro   giurisdizione,  ha  con  un  improvviso  ed  inopinato
 revirement,  disconosciuto  tale  potere,  nonostante  che  la  Corte
 costituzionale per ben tre volte, con l'ordinanza 9 novembre 1992, n.
 425,  e con le sentenze 19 ottobre 1992, n. 395, e 1$ aprile 1993, n.
 133,  avesse  dichiarato  inammissibile  la  questione  di   sospetta
 incostituzionalita'  dello  art.  29  della  legge 16 giugno 1927, n.
 1766, nella parte in cui prevede che i commissari possono  promuovere
 anche  di  ufficio  le  controversie di loro competenza.   Poiche' la
 Corte costituzionale  non  ha  deciso  nel  merito  la  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  sottoposta  al  suo esame, ritiene il
 giudicante - cosi' come del resto ha fatto la Corte  suprema  con  la
 richiamata  pronuncia  - che essa debba essere di nuovo sottoposta al
 suo  esame,  giacche'  se  l'art.   29   anzidetto   dovesse   essere
 interpretato  nel  senso  voluto dalle sezioni unite, esso violerebbe
 certamente il principio  della  ragionevolezza  sancito  dall'art.  3
 della  Costituzione,  quello  del  diritto  alla difesa garantito dal
 successivo art.  24,  quello  dell'autonomia  ed  indipendenza  della
 Magistratura  sancito  dagli  artt.  104  e  108  della Costituzione,
 nonche'  l'altro  della  tutela  dei  beni   paesaggistici   previsto
 dall'art.  9 della Costituzione. Non v'e' dubbio che la questione sia
 rilevante  perche'  se  dovesse  ritenersi  costituzionale   siffatta
 interpretazione,   il  commissario  dovrebbe  dichiarare  il  proprio
 difetto di giurisdizione a decidere l'insorta  controversia,  con  la
 conseguenza  che  non  si potrebbe piu' accertare la natura demaniale
 civica o allodiale dei fondi in  questione.    Considerato,  poi,  la
 pluralita'  di  decisioni  emesse  sulla materia dalle sezioni unite,
 devesi prevedere che l'interpretazione anzidetta  perduri  nel  tempo
 per  molti  anni.    Le  sezioni unite, invero, a fondamento del loro
 assunto secondo cui il commissario non sarebbe  piu'  legittimato  ad
 intraprendere  d'ufficio  le controversie giudiziarie, sostengono che
 tale potere era di  natura  esclusivamente  incidentale  perche'  gli
 derivava  dall'esercizio  delle  funzioni  amministrative. Una volta,
 pero', trasferite queste ultime alle regioni in  forza  dell'art.  66
 del  d.P.R. n. 616/1977, egli avrebbe perduto l'impulso ufficioso che
 spetta, pertanto, unicamente alle regioni, essendo venuto meno l'art.
 29,  primo comma, della legge anzidetta, nel quale esso era previsto,
 e non trovando piu' alcun fondamento nel testo legislativo,  giacche'
 in  questo  non si rinverrebbero disposizioni che gli conferiscano in
 modo espresso un autonomo potere  di  iniziativa  ufficiosa  o  dalle
 quali  il  medesimo sia indirettamente deducibile.  Ora, premesso che
 il commissario ha conservato pur dopo l'entrata in vigore del cennato
 decreto   presidenziale,    la    funzione    amministrativa    della
 legittimazione   dei   possessi   abusivi   delle  terre,  demaniali,
 legittimazione che rientra nei poteri discrezionali  del  commissario
 perche'  questi,  pur  ricorrendo  i prescritti requisiti, puo' anche
 negarla  per  considerazioni  di  carattere  generale  inerenti  alle
 esigenze  della  collettivita'  dei  naturali del luogo, titolare dei
 diritti di usi  civici  e  proprietaria  dei  terreni  demaniali  dai
 medesimi   gravati;   per  cui  rispetto  a  siffatto  beneficio  gli
 interessati possono vantare solo una posizione di interesse legittimo
 e non di diritto soggettivo, si rileva che se fosse esatto - il  che'
 pero'  non sembra - il ragionamento della Cassazione, dovrebbe allora
 dirsi che avendo la legge 31 gennaio 1994, n. 97,  quasi  coeva  alla
 suddetta   pronuncia,   restituito   le  funzioni  amministrative  ai
 commissari, poiche' ha ad essi affidato, con l'art. 12, terzo  comma,
 il  compito  di  determinare  il  diritto  ai  compensi eventualmente
 spettanti ai fruitori dei diritti civici sui beni di natura demaniale
 civica, espropriati dalle comunita' montane per la  realizzazione  di
 opere  pubbliche  o  di  pubblica  utilita'  per  le  quali sia stata
 ottenuta l'autorizzazione di cui all'art. 7 della legge n. 1497/39  e
 quella del Ministero dell'ambiente, e' venuto meno il presupposto sul
 quale  la  sentenza  si  basava  per  considerare estinto il suddetto
 potere, con la conseguenza che  questo  essendo  stato  espressamente
 ripristinato,   non   ha   piu'   motivo   di   esistere  l'anzidetta
 interpretazione, anche perche' il disposto  dell'art.  12,  riconosce
 implicitamente  che  la  cura  dei diritti di usi civici e dei demani
 civici deve essere attribuita ai commissari con tutte le  conseguenti
 facolta' e non alle regioni come pretende la ripetuta pronuncia.
    Alle  stesse  conclusioni si perviene ove volesse ritenersi che la
 determinazione dei compensi  comporti  un'attivita'  giurisdizionale,
 giacche',   in   tal   caso,   si   deve  rinvenire  nella  norma  il
 riconoscimento  di  un  esplicito  impulso  ufficioso  commissariale,
 avendo  il  legislatore  previsto  che  i commissari "determinano" il
 diritto di cui sopra, il che' vuol dire che tale determinazione  puo'
 avvenire sia a richiesta di parte, che d'ufficio.
    Ma,  il  giudicante,  fonda i suindicati rilievi di illegittimita'
 costituzionale  anche  sulle  seguenti   ulteriori   ragioni,   nella
 considerazione  che  dato il susseguirsi degli eventi e visto che per
 ben tre volte la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  del suddetto art. 29, la
 Corte di cassazione abbia voluto di  fatto  sostituirsi  alla  prima,
 conseguendo   lo   stesso   risultato  con  una  semplice  operazione
 interpretativa.
    Invero a norma dell'art.  2907  del  codice  civile,  alla  tutela
 giurisdizionale  dei diritti provvede l'autorita' giudiziaria - nella
 quale e' compreso anche il commissario agli  usi  civici  che  e'  un
 magistrato di grado non inferiore a quello di consigliere della corte
 di appello - su domanda di parte (cfr. c.p.c. art. 99 principio della
 domanda)  e quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico
 ministero (artt. 67, 85, 102, 117, 119, 125, 308, 336, 417, 418 e 848
 del codice civile e 69 del  c.p.c.)  o  d'ufficio,  per  cui  non  e'
 irragionevole  che  la  legge n. 1766/1927 attribuisca al commissario
 l'iniziativa  ufficiosa  nei  procedimenti  giurisdizionali,  di  sua
 competenza.   Infatti anche altre leggi la prevedono, quali gli artt.
 6, 8 e  147,  secondo  comma,  e  145,  settimo  comma,  della  legge
 fallimentare   che  attribuiscono  anche  al  giudice  il  potere  di
 dichiarare d'ufficio il  fallimento  (o  l'insolvenza);  l'art.  336,
 ultimo  comma,  del  codice  civile  secondo  cui  in caso di urgente
 necessita' il tribunale puo' adottare anche  d'ufficio  provvedimenti
 temporanei  nell'interesse  del figlio; l'art. 8 della legge 4 maggio
 1983, n. 184, che attribuisce al tribunale per i minorenni il  potere
 di  dichiarare  d'ufficio lo stato di adottabilita' del minore che si
 trovi in stato di abbandono e quelle relative al tribunale  superiore
 delle acque pubbliche.
    Se  il potere di agire del commissario si inquadra nella descritta
 piu' ampia prospettiva, allora diviene del tutto ragionevole  che  il
 legislatore,   come   ha   previsto   l'impulso  ufficioso  a  tutela
 dell'interesse all'eliminazione dell'impresa insolvente dal mercato o
 dell'interesse dei minori, cosi' ha  previsto  un  analogo  potere  a
 tutela   dei  beni  collettivi  e  degli  interessi  collettivi  alla
 conservazione dei diritti di usi  civici.    Se,  quindi,  anche  nel
 processo  civile e' ammesso l'impulso ufficioso, a maggior ragione si
 deve ammeterlo nel procedimento contenzioso demaniale  nel  quale  vi
 sono  determinati  e  preminenti interessi pubblici da tutelare, come
 del resto ha sempre ritenuto la Corte  di  cassazione  fino  al  1992
 (cfr.  sent.  n.  1024/92)  stabilendo  che l'iniziativa ufficiosa e'
 rinvenuta nell'espressa lettera della  legge  e  nella  sua  pacifica
 ultrasecolare interpretazione, scopo della legge n. 1766/1927 essendo
 quello  di  rendere  possibile  l'esercizio,  anche di ufficio, della
 duplice sua  funzione  amministrativa  (caducata  con  il  d.P.R.  n.
 616/1977)   e   contenziosa.      Irragionevole  sembra,  invece,  la
 motivazione delle sentenze  con  le  quali  le  sezioni  unite  hanno
 inopinatamente  escluso  la  permanenza  in capo al commissario della
 iniziativa  ufficiosa,  nel  senso  che  questa   sarebbe   meramente
 incidentale   siccome   derivante   esclusivamente   dalle   funzioni
 amministrative sottrattegli oltre  17  anni  prima  dal  d.P.R.    n.
 616/1977.  In  realta'  la  motivazione  e'  la  copia  della nota di
 commento apparsa su una nota  rivista  giuridica,  alla  sentenza  19
 ottobre 1992, n. 395, ed all'ordinanza 9 novembre 1992, n. 425, della
 Corte  costituzionale,  le  cui  argomentazioni  appaiono  del  tutto
 errate,  perche'  trascurano  la  giurisdizione  esercitata  in   via
 principale  dal  commissario.    Infatti a lui sono devolute ai sensi
 dell'art. 29 della  legge  n.    1766/1927  oltre  a  quella  cui  ha
 accennato   la   Cassazione,   anche   tutte  le  controversie  circa
 l'esistenza, la natura,  l'estensione  dei  diritti  di  usi  civici,
 comprese  quelle nelle quali sia contestata la qualita' demaniale del
 suolo  o  l'appartenenza  a  titolo  particolare   dei   beni   delle
 associazioni, ancorche' l'esistenza del diritto di usi civici, invece
 di   formare   oggetto  di  una  richiesta  di  accertamento  in  via
 principale, sia dedotta in  via  di  eccezione  e  la  soluzione  sia
 destinata  a  spiegare,  per  volonta'  stessa della legge, efficacia
 oltre il processo, vale a dire efficacia di cosa giudicata  in  senso
 sostanziale.
    Pertanto  la  giurisdizione  commissariale non e' affatto limitata
 solo ai giudizi di opposizione alle operazioni  demaniali  (che  sono
 quelli che danno luogo alla giurisdizione incidentale) promosse dagli
 interessati  o  d'ufficio  dal  commissario,  al  fine  di  eliminare
 preventivamente i motivi di contrasto.
    Queste azioni sono, anzi, enormemente  diminuite  in  correlazione
 con   lo   scarso   numero   delle   verifiche   effettuate  in  sede
 amministrativa.
    Le azioni di gran lunga prevalenti, invece, sono  quelle  attivate
 prima  o, comunque, indipendentemente dal procedimento amministrativo
 al fine di accertare  la  qualitas  soli,  contestata  con  l'abusiva
 occupazione  del  bene di presunta natura demaniale civica, e dispone
 la reintegra all'ente territoriale di interesse, e, quindi,  di  dare
 certezza ai rapporti giuridici, nella materia degli usi civici.
    La   giurisdizione   commissariale  si  esplica,  quindi,  in  via
 preventiva, per accertare o escludere l'esistenza della demanialita',
 per rivendicare un  bene  posseduto  da  altri,  per  decidere  sulle
 domande  di  reintegra  prima  o in pendenza dell'istruttoria formale
 condotta dalla regione,  per  sciogliere  le  promiscuita'  demaniali
 civiche  tra comuni, per la configurazione dei corpi demaniali civici
 di  pertinenza  di  due  o  piu'  comuni,  ma  tutto  cio'  e'  stato
 inspiegabilmente  ignorato  dalla Cassazione.  L'impulso ufficioso ha
 la sua  fonte  genetica,  inoltre,  anche  nell'art.  74  regolamento
 approvato  con  r.d. 26 febbraio 1928, n. 332, per l'esecuzione della
 legge 16 giugno 1927, n. 1766, prevedendosi in esso che nei  casi  di
 urgenza  i  provvedimenti conservativi siano disposti dal commissario
 anche senza citazione di parte e, quindi, senza istanza di  parte,  e
 che  il  reclamo  non  ha  effetto  sospensivo.   Tali provvedimenti,
 rientrano nella sua sfera giurisdizionale, sia  per  l'autorizzazione
 che  per la loro convalida. Altra fonte e' quella dell'art. 75 stesso
 r.d.
    La sentenza della Cassazione, invece, fa riferimento, come  si  e'
 detto,   soltanto  all'art.  29  piu'  volte  ripetuto  e  solo  alla
 giurisdizione incidentale, ignorando da un lato gli altri profili  di
 giurisdizione   di   sopra   elencati   e  dall'altro  incorrendo  in
 affermazioni che sembrano non esatte, quale  quella  secondo  cui  si
 riferirebbe  soltanto  ai  procedimenti  amministrativi  il  disposto
 dell'art. 75, secondo comma, regolamento anzidetto,  che  prevede  la
 nomina  della speciale rappresentanza degli utenti dei diritti civici
 qualora nei procedimenti  promossi  dalle  parti  o  da  "promuoversi
 d'ufficio"   esista  conflitto  di  interessi  tra  il  comune  ed  i
 comunisti, contestandosi dal comune la qualita' demaniale  del  suolo
 o, comunque, l'esistenza degli usi civici - Non si nega che l'ipotesi
 anzidetta   possa  verificarsi  anche  nell'ambito  dei  procedimenti
 amministrativi  attinenti  ai  beni  demaniali  civici,   riguardando
 l'integrita'  del  contraddittorio,  ma  il  principio  ha  carattere
 generale  ed  e'  quindi  applicabile  soprattutto  nei  procedimenti
 contenziosi,  come  hanno  stabilito,  con  giurisprudenza costante e
 consolidata e mai revocata, sia la stessa cassazione che la corte  di
 appello di Roma, sezione speciale per gli usi civici, la quale ultima
 ritenendo  che  abbia  rilevanza  anche  la  mera  possibilita' di un
 conflitto virtuale di interessi, oltre  ovviamente  a  quello  reale,
 come preteso, invece, dalla Cassazione, ha annullato diverse sentenze
 emesse  dal  giudicante in materia di reintegra di demani civici, per
 difetto di integrita' originaria di contraddittorio,  restituendo  le
 cause  a  questo commissario perche' evocasse in giudizio la speciale
 rappresentanza  della  collettivita'  dei  naturali   del   luogo   e
 ricominciasse  il  giudizio  dall'inizio,  cosi' ravvisando anche nel
 procedimento  contenzioso  demaniale  la  figura  del  litisconsorzio
 necessario.   Il tenore letterale dell'art. 75 anzidetto inserito nel
 titolo terzo del regolamento approvato con r.d. 26 febbraio 1928,  n.
 332,  sotto  la  rubrica  "giurisdizione  e procedura" chiaramente si
 riferisce "ai procedimenti promossi  dalle  parti  o  da  promuoversi
 d'ufficio",  senza  distinguere  tra  procedimenti  amministrativi  e
 giurisdizionali - La  stessa  Corte  costituzionale,  del  resto,  ha
 riconosciuto  nella  causa  demaniale  comune  di Pizzoferrato contro
 Societa' Valle del  Sole  e  Delbergh  Costruzioni  che  la  sentenza
 commissariale   era   stata   annullata  per  difetto  di  integrita'
 originaria  di  contraddittorio,  non  essendo  stata  convenuta   in
 giudizio  come  litis  consorte necessario la speciale rappresentanza
 degli utenti dei diritti di civici, stante il conflitto di  interessi
 tra la collettivita' degli utenti e l'anzidetto ente territoriale.
    In  definitiva  il  principio di cui al suddetto art. 75 ha il suo
 omologo nell'art. 78 del cod. proc. civile che prevede,  appunto,  il
 conflitto  di  interessi  tra  rappresentante  e  rappresentato  e le
 relative conseguenze.
    Come pure e' errato ritenere che  il  quarto  comma  dell'art.  29
 secondo  cui  "i  commissari  cureranno  la completa esecuzione delle
 proprie decisioni e di  quelle  anteriori  ma  non  ancora  eseguite"
 comporti  lo  svolgimento  di  attivita'  amministrativa.   Invece le
 attribuzioni giurisprudenziali del commissario  agli  usi  civici  si
 estendono,  secondo la previsione del suddetto art. 29 e dell'art. 77
 r.d.  anzidetto,  anche  alle  controvesie  attinenti  alla  concreta
 attuazione  delle  sentenze  del  commissario medesimo, ivi compresa,
 pertanto, l'opposizione avverso l'esecuzione che sia stata intrapresa
 per  l'immissione   nel   possesso   di   un   terreno,   in   ordine
 all'identificazione dei confini di esso, o per altro motivo. Pertanto
 il   commissario  e'  anche  giudice  dell'esecuzione  delle  proprie
 decisioni, al pari del pretore e del tribunale per le cause  di  loro
 competenza.    Sul  punto  la  stessa  Cassazione, con la sentenza n.
 2858/92 poco piu' di un anno anteriore  a  quella  in  questione,  ha
 stabilito  che  il  gia' avvenuto accertamento della demanialita' del
 bene ad opera di decisione  del  commissario  agli  usi  civici,  non
 esclude  la  di  lui  competenza  giurisdizionale  a  conoscere delle
 controversie  concernenti  il  possesso  del  detto  bene,   la   sua
 rivendicazione   ed  il  rilascio  da  parte  dell'occupante,  ovvero
 relative all'esecuzione  di  precedenti  sentenze  commissariali.  Le
 sezioni  unite  non spiegano le ragioni per le quali detta competenza
 giurisdizionale   sia   diventata   all'improvviso    amministrativa.
 Significativo  e' anche il disposto dell'art. 76 stesso reg.  secondo
 cui  "tutte  le  azioni  che   intendonsi   esercitare   davanti   al
 commissario,  quindi non solo le azioni delle regioni, debbono essere
 proposte con ricorso motivato a lui diretto, in piedi al  quale  egli
 con  decreto  stabilira'  il  giorno per la comparizione delle parti;
 assegnando il termine che riterra' opportuno  per  la  notifica  agli
 interessati".
    Trattasi   di  nota  procedurale  del  contenzioso  demaniale  che
 riguarda  le  attribuzioni  giurisdizionali  del  commissario  e  non
 certamente  quelle  amministrative  - Ne' e' esatto, come sostiene la
 sentenza della Cassazione, che la chiamata in giudizio da  parte  del
 commissario  dei  legali  rappresentanti del comune, della frazione o
 dell'associazione  si  riferisca  a  cause  gia'  iniziate,  potendo,
 invece,  riferirsi  come  accade  nella  pratica,  anche  a quelle da
 iniziarsi, previste nel richiamato  art.  76  e  dall'art.  29  legge
 anzicitata.
    In  realta'  quest'ultimo  deriva  dall'art. 27 del r.d. 27 maggio
 1924, n. 751, sul riordinamento  degli  usi  civici  nel  regno,  che
 espressamente  prevedeva  come "i commissari procederanno non solo su
 istanza degli interessati, ma anche d'ufficio, all'accertamento, alla
 valutazione ed all'affrancazione dei diritti di cui all'art. 1,  allo
 scioglimento  delle  promiscuita'  ed  alla  reintegra e ripartizione
 delle terre".
    Tale articolo corrisponde a quello n. 29  della  legge  16  giugno
 1927,   n.   1766,   che  ha  convertito  in  legge  il  suddetto  R.
 decreto-legge ed ha mantenuto inalterato, se pure  ampliato,  il  suo
 contenuto, nel senso che al primo comma si e' stabilito il potere dei
 commissari  di  procedere,  su  istanza  degli  interessati  o  anche
 d'ufficio,  all'accertamento  delle  materie  ivi  indicate;  con  il
 secondo  comma,  poi,  si  e'  stabilito che i commissari decideranno
 tutte le controversie  sull'esistenza,  natura,  e  l'estensione  dei
 diritti  civici,  comprese  quelle  nelle  quali  sia  contestata  la
 qualita' demaniale del suolo o l'appartenenza  a  titolo  particolare
 dei  beni  delle  associazioni,  nonche'  tutte le quiestioni cui dia
 luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate.  Ora e' evidente
 che le controversie devolute al commissario, per l'intima connessione
 tra i due comuni, sono  quelle  sorte  a  seguito  di  istanza  degli
 interessati,  o anche d'ufficio, e non puo' essere diversamente, dato
 il chiaro tenore del primo  comma,  sicche'  il  trasferimento  delle
 funzioni amministrative commissariali alle regioni e' irrilevante per
 quanto  riguarda  la  suscettibilita'  dello  impulso  ufficioso  del
 commissario, considerato anche che il diritto potestativo  all'azione
 non   puo'   essere   qualificato   come   esercizio   di   attivita'
 amministrativa.  La sentenza in esame, invece, considera i primi  due
 comuni  nettamente  separati come se fossero due articoli e arriva al
 punto di parlare di espunzione del primo comma,  espunzione  che  non
 rientra  di  certo nei compiti interpretativi del supremo Collegio ma
 se mai del legislatore.
    Per  altro  l'interpretazione  data  al  suddetto  art.   29,   ha
 comportato  la  soppressione  del  diritto  spettante agli utenti dei
 diritti civici di ricorrere al commissario per  la  tutela  dei  loro
 diritti e dei demani da questi gravati dei quali sono titolari, ossia
 del  diritto  di azione, del quale sono stati privati anche tutti gli
 enti privati e pubblici, nonche' quelli  preposti  alla  salvaguardia
 dei  parchi  che,  tra i compiti istituzionali, hanno anche quello di
 tutelare i beni ambientali nei quali sono ricompresi i demani civici,
 cosicche' attualmente dovrebbe esistere la sola facolta' di  riferire
 il  fatto  lesivo  alle  regioni,  le  quali  non essendo obbligate a
 provocare l'intervento del commissario, decideranno a loro piacimento
 se agire o meno.  In definitiva nessuna possibilita' di difesa  hanno
 i  naturali  della collettivita', proprietaria dei demani civici, per
 impedire che questi siano abusivamente occupati da enti e  privati  o
 siano  alienati  dai comuni in ispreto alle norme inderogabili di cui
 alla legge e regolamento piu' volte menzionati. Cio'  e'  tanto  piu'
 grave ove si consideri la tutela possessoria con le azioni di spoglio
 e  manutenzione  prevista  dall'art.  30  legge suddetta, della quale
 resterebbero  privi  cittadini  ed  enti,  richiedendo  il   giudizio
 possessorio  rapidita'  di  intervento del commissario e di decisione
 della causa.
    Tutti - compreso il commissario - dovrebbero assistere passivi  ed
 impotenti  all'olocausto  dei  beni  civici e dei diritti civici, non
 essendo  ammesso  secondo  l'opinione  delle  sezioni   unite   alcun
 intervento   in   via  giurisdizionale  dinanzi  al  commissario,  ad
 eccezione  di  quello  eventuale  delle  regioni,  ne'   potendo   il
 commissario iniziare il procedimento contenzioso d'ufficio, cosicche'
 date  le caratteristiche delle costruzioni in cemento armato, per non
 parlare di altro, non e' escluso che i territori dei parchi nazionali
 e regionali, delle riserve naturali, delle oasi  protette  e  simili,
 siano  presto  cementificati,  in  particolare  quelle  localita'  di
 suggestiva e  meravigliosa  bellezza  che  presto  scomparirebbero  a
 beneficio della speculazione e della logica di mercato.
    E'  chiara la violazione dell'art. 24 della Costituzione, giacche'
 il diritto del singolo di agire in giudizio per la tutela dei  propri
 diritti  o  interessi  legittimi e' oggetto di una specifica garanzia
 costituzionale (art. 24  della  Costituzione)  e,  quindi,  non  puo'
 essere  soppresso  o  limitato nei confronti di nessuno e per nessuna
 ragione. Parimenti costituisce diritto inviolabile dei  cittadini  la
 possibilita' di difendersi in giudizio (art. 24, secondo comma, della
 Costituzione)  dalle  aggressioni  al  demanio  civico  o  ai diritti
 civici.  L'interpretazione delle sezioni unite e' irragionevole anche
 perche' crea una  disparita'  di  trattamento  tra  i  cittadini  che
 agiscono  per  la tutela dei propri diritti ai sensi dell'art. 99 del
 c.p.c. per i quali e' prevista la facolta' di rivolgersi direttamente
 al giudice, ed i cittadini che  agiscono  per  la  tutela  degli  usi
 civici  e  delle  terre demaniali civiche che non possono invece piu'
 vantare alcun diritto su di essi essendo  stato  loro  vietato  dalle
 sezioni  unite  di  rivolgersi al commissario.  Infine la sentenza de
 qua e' sospetta di illegittimita' costituzionale anche in riferimento
 agli artt. 104 e 108 della  Carta  costituzionale  perche'  menoma  i
 principi di autonomia e di indipendenza del magistrato, aventi valore
 universale  costituzionalmente  garantito,  giacche' avendo stabilito
 che il commissario puo'  esercitare  la  sua  giurisdizione  solo  su
 richiesta  delle  regioni,  fa  praticamente dipendere tale esercizio
 dall'arbitrio del potere politico - che potrebbe in teoria  astenersi
 da qualsiasi iniziativa, non avendone alcun obbligo - verso il quale,
 pertanto,  il  magistrato  degli  usi  civici  verrebbe a trovarsi in
 posizione di sudditanza.
    La stessa situazione si verificherebbe se  dovesse  abolirsi,  con
 sentenza    interpretativa,    il    principio   dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale, cui corrisponde nel processo contenzioso  dinanzi
 al  commissario l'azione demaniale, con la conseguente sottoposizione
 del pubblico ministero alle dipendenze del Ministero della giustizia.
    Infatti con la legge ed il regolamento piu' volte menzionati si e'
 dato alla materia degli usi civici un carattere  di  quasi  affinita'
 alla  materia  penale, dato il rilevante interesse pubblico dal quale
 esse sono permeate.
    Sussiste,  da  ultimo, la violazione del principio di cui all'art.
 9, secondo comma,  della  Costituzione,  secondo  cui  la  Repubblica
 tutela   il  paesaggio,  giacche'  con  la  suddetta  interpretazione
 dell'art. 29, non sarebbe piu' possibile al  commissario  intervenire
 concretamente  per  la  difesa  della  integrita'  dei  beni  civici,
 definiti dalla stessa Corte costituzionale beni ambientali e, quindi,
 paesaggistici.
    Tutte  tali  argomentazioni   convincono   della   non   manifesta
 infondatezza  delle dedotte questioni di costituzionalita' per cui il
 presente giudizio va sospeso ai sensi dell'art.  23  della  legge  n.
 87/1953  e  gli  atti  rimessi allo esame della Corte costituzionale,
 affinche' si pronunci nel merito.